Brogi sulla cultura: "Manca un progetto di sviluppo"
Il dirigente dopo la chiusura di Ordigno e Museo bacchetta la politica
Con l'esperienza di molti anni come manager culturale, già direttore di Armunia, amplia l'orizzonte e rileva l'assenza di un disegno di sviluppo, critica alcune scelte, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa.
Negli ultimi tempi ha dovuto prendere decisioni drastiche, si sarà trovato in difficoltà.
«Purtroppo la chiusura di queste strutture si inserisce in un contesto più generale della cultura. Concordo con quanto ha dichiatato Massimo Paganelli nell'intevista del 4 gennaio, il problema della chiusura dell'Ordigno sta nel fatto che era un luogo di radicamento, perciò aveva un valore civico come struttura culturale. Questo valore sul territorio è venuto meno».
Rosignano, l'ex direttore di Armunia: il problema vero è che manca l'amore per la cultura in questo Paese
«Il Comune per anni è stato un riferimento culturale a livello nazionale per la cultura. Penso ai convegni sul bambino e a quelli sul disarmo, alle mostre dei macchiaioli e a quella su Baj, alcune con 20.000 visitatori che sono qualche centinaio al giorno, ai simposi di scultura, ai personaggi della danza che sono venuti al Pasquini come Carla Fracci, Micha van Hoecke, Lindsay Kemp. Al Solvay c'erano cartelloni tradizionali ma anche artisti come Carmelo Bene. L'Ordigno stesso – il nome fu dato dalle scuole con un concorso - aveva come direttore Enrico Grazioli, un attore di cinema e teatro che animava la compagnia di Maurizio Nichetti “Quelli di Grock”, organizzava le domeniche a teatro e il teatro ragazzi, Musicantiere. Tutto questo rischia di scomparire».
Molto è già perso. E' solo un problema di soldi?
«Risorse ce ne sono meno, il patto di stabilità ci dà problemi notevoli. Ma il fattore determinante è che si è persa l'idea di sviluppo del territorio e della cultura come elemento decisivo. Se non c'è un progetto culturale forte anche quando si trovano i soldi non servono».
Sarebbero inutili i 370.000 euro impegnati per L'Ordigno o i 300.000 per il restauro della tensostruttura del Pasquini?
«Per rimettere a norma L'Ordigno servono tanti soldi. Anche sulla tensostruttura si poteva fare una riflessione diversa: nacque come sala convegni ma come spazio teatrale comprime la scena. Spostare i convegni altrove servirebbe a riformulare l'ipotesi di un teatro all'aperto».
E per gli spettacoli al chiuso?
«Sarebbe utile proporre alla Solvay un confronto per l'utilizzo pubblico e stabile del teatro Solvay. Oggi è usato da associazioni e gruppi musicali di cui il Comune dovrebbe tenere conto. Diversamente dal Pasquini è un teatro vero e proprio. Ci si fanno iniziative spot invece dovrebbe essere l'agorà del paese. Bisognerebbe fare una battaglia per il teatro e trovare un'intesa con la società. I cittadini di Rosignano che hanno lavorato alla Solvay se lo sono pagato».
Del Pasquini cosa pensa?
«Il castello dovrebbe diventare un luogo culturale vocato al contemporaneo nelle sue molteplici forme. Dovrebbe ambire a qualcosa di più, proporre un dialogo tra artisti del cinema, del teatro e delle arti visive. Ma occorrerebbe dare più solidità e sicurezza ad Armunia, lavorando in sinergia con l'ufficio cultura del Comune per razionalizzare i costi e programmare di concerto».
Armunia è ancora in stand by con la fondazione, ed ha un debito a carico.
«Si deve discutere anche dei contenuti, non solo del bilancio. Un problema è stata la rinuncia di Alfonso Iacono alla presidenza della fondazione, servirà una persona di livello che dia delle garanzie. Ma c'è anche un problema di progettualità che potremmo trovare fuori dal Comune. In passato sia io che Paganelli abbiamo fatto tutto ma aprendoci all'esterno, non ci siamo vergognati di cercare persone che ci potevano aiutare».
Il grande assente dal suo quadro è la politica.
«Manca un disegno. La politica dovrebbe riunire gli attori per fare cose concertate e condivise. La ristrettezza di risorse dovrebbe rendere più attenti alla programmazione, oggi si fa integrando istruzione, sociale, turismo, coinvolgendo tanti attori. Anche la cultura dovrebbe avere una prospettiva di condivisione. Perché la sua funzione, come dice Tomaso Montanari ne “Istruzioni per l'uso del futuro”, non è assicurare il diletto di pochi, ma essendo una virtù civile, è uno strumento per costruire uguaglianza e democrazia, una via per rimanere umani e rovesciare la dittatura del mercato».
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